Le successioni a partire dal 17 agosto 2015.
Quali effetti produrranno le modifiche apportate al diritto internazionale privato dal regolamento Europeo n. 650/2012
A partire dal 17 agosto 2015, data prevista per l’entrata in vigore del Regolamento Europeo n. 650/2012, importanti modifiche legislative riguarderanno, nell’ambito del diritto internazionale privato, la materia delle successioni. Il regolamento UE 650/2012, sarà applicabile negli Stati membri dell’Unione europea, con l’eccezione di Danimarca, Irlanda e Regno Unito, a partire dal 17 agosto 2015. Si tratta di un testo ampio e complesso, che conta 83 considerando e 84 articoli, e regola tutti gli aspetti di diritto internazionale privato relativi alla successione come la competenza, la legge applicabile, la circolazione delle decisioni giudiziarie e degli atti pubblici. Il regolamento costituisce una normativa coerente e completa; gli aspetti meno soddisfacenti riguardano in particolare la possibilità di una scelta implicita della legge applicabile e la previsione di una clausola di eccezione, che rischiano di diminuire considerevolmente la prevedibilità della pianificazione ereditaria. Alcuni problemi pratici potranno derivare inoltre dalla assenza di leggi uniformi, tra gli Stati membri, in settori contigui.
Ulteriori dettagli >
I. La legge applicabile alla successione a partire dal 17 agosto 2015.
Il criterio di collegamento oggettivo: la residenza abituale del defunto al momento della morte.
Il criterio di collegamento oggettivo adottato in via generale dal regolamento, ed applicabile all’intera successione senza distinzione tra beni mobili ed immobili, è costituito dalla residenza abituale del defunto al momento della morte. Non v’è dubbio, tuttavia, che esso introduce un cambiamento importante per gli Stati membri partecipanti, poiché attualmente sedici di essi, tra i quali appunto l’Italia e la Germania, utilizzano in materia il criterio della cittadinanza.
La preferenza accordata al criterio di collegamento della residenza si giustifica anzitutto perché la legge di tale paese è normalmente quella che presenta il collegamento più stretto con la fattispecie da regolare, dato che in esso sono solitamente situati il centro di vita della persona e i suoi interessi di carattere personale, familiare, professionale ed economico, nonché vi sono spesso localizzati altri elementi oggettivi e soggettivi, quali i beni compresi nell’asse ereditario, gli stessi eredi e legatari e i creditori. Certo, in alcuni casi il defunto potrebbe avere conservato legami più stretti con il proprio paese di cittadinanza o con un paese in cui ha risieduto anteriormente; tuttavia, la prima eventualità è statisticamente più frequente. La sottoposizione della successione alla legge della residenza facilita inoltre il family planning alle coppie di coniugi aventi diversa cittadinanza ma residenti nel medesimo paese perché fa coincidere la legge regolatrice della successione di ciascuna di essi con quella che normalmente si applica ai loro rapporti patrimoniali. Un secondo motivo a sostegno della soluzione accolta dal regolamento consiste nel vantaggio della tendenziale coincidenza tra forum e jus che essa determina, dato che l’ultima residenza abituale del de cujus è ugualmente assunta dal regolamento come criterio principale di competenza giurisdizionale.
II. Problematiche sottese al nuovo criterio della residenza abituale introdotto dal Regolamento Europeo 650/2012, rispetto al previgente principio di cittadinanza del defunto ai fini dell’individuazione della legge successoria applicabile.
Bisogna, infatti, aggiungere che il criterio di collegamento della residenza abituale presenta anche alcuni svantaggi rispetto a quello della cittadinanza. Per esempio, la residenza abituale può variare con maggiore facilità e frequenza rispetto alla cittadinanza. Le due situazioni che sollevano le difficoltà più rilevanti sono probabilmente le seguenti: in primo luogo, l’ipotesi in cui il defunto suddivideva la propria vita in maniera approssimativamente equilibrata fra due o più paesi, risiedendo alternativamente in ognuno di essi per periodi limitati; in secondo luogo, l’ipotesi in cui egli aveva risieduto per un periodo più o meno lungo in un paese straniero per ragioni professionali, per motivi di studio, per esigenze sanitarie o altro, pur avendo conservato legami stretti e costanti con il paese di origine. Un’altra situazione suscettibile di creare difficoltà nell’accertamento delle condizioni in base alle quali la residenza può essere considerata «abituale» è quella in cui una persona si sia trasferita in un nuovo paese poco prima della morte.
La flessibilità comportata dalla rinuncia ad una definizione formale della residenza abituale da parte del legislatore offre, d’altra parte, il vantaggio importante di permettere di affrontare il problema della sua determinazione concreta seguendo un approccio funzionale, cioè adattandone la nozione al contesto in cui il problema di presenta, in maniera da precisarne i contorni secondo le caratteristiche della materia da regolare o della questione particolare da risolvere.
Quanto, poi, all’ipotesi in cui «per motivi professionali o economici il defunto fosse andato a vivere all’estero per lavoro, anche per un lungo periodo, ma avesse mantenuto un collegamento stretto e stabile con lo Stato di origine» lo stesso articolo 24 del citato Regolamento ammette che, se il defunto aveva mantenuto «il centro degli interessi della sua famiglia e della sua vita sociale» nel suo paese di origine, si possa ritenere, alla luce delle circostanze, che vi abbia anche conservato la propria residenza abituale.
III. La clausola di eccezione o meglio “l’eccezione alla regola”.
Come già accennato, il riferimento alla legge del paese dell’ultima residenza abituale del de cujus (operato dall’art. 21, par.1) è completato dall’aggiunta di una clausola di eccezione (o Ausweichsklausel), contenuta nel par. 2 dell’articolo e formulata in termini del tutto classici, secondo cui, qualora, «in via eccezionale, dal complesso delle circostanze del caso concreto, risulti chiaramente che, al momento della morte, il defunto aveva collegamenti manifestamente più stretti con uno Stato diverso da quello la cui legge sarebbe applicabile ai sensi del paragrafo 1, la legge applicabile alla successione è la legge di tale altro Stato».
Ad ogni modo è certo che la presenza della clausola nel regolamento comporta una significativa dilatazione dei margini di discrezionalità offerti all’interprete nell’individuazione del diritto applicabile. Anche sotto questo aspetto l’introduzione nella nuova disciplina europea di questo ulteriore elemento di flessibilità sembra però presentare più inconvenienti che vantaggi. E’ certamente vero che l’applicazione della clausola può permettere di arrivare, in un numero di casi peraltro limitato, all’identificazione di una legge che ha con la successione dei legami obiettivamente più stretti di quelli che con essa possiede la legge del paese dell’ultima residenza abituale del defunto. Tuttavia il maggior grado di precisione e di accuratezza di valutazione in tal modo conseguito ha come contropartita una considerevole perdita di prevedibilità del diritto applicabile, suscettibile di provocare a sua volta, specie nelle situazioni che presentano caratteri di internazionalità particolarmente rilevanti, non lievi difficoltà di pianificazione ereditaria, e inoltre di costituire un incentivo alla moltiplicazione delle liti tra aspiranti alla successione.
III.1. La facoltà di scelta della legge nazionale: “Professio Juris”
L’adozione da parte del regolamento del criterio di collegamento dell’ultima residenza abituale del de cujus si fonda, come si è visto, sulla ragionevole presunzione che tale criterio consenta in un elevato numero di casi di individuare la legge che obiettivamente presenta i più stretti legami con la successione. Nonostante che questa ipotesi possa essere considerata a priori come la più probabile, resta però un certo spazio per la possibilità che la persona del de cujus, come pure altri rilevanti elementi della vicenda successoria, abbiano in realtà collegamenti di maggiore consistenza con la legge di uno Stato diverso. Al fine di accrescere l’adattabilità della disciplina di conflitto alle caratteristiche del caso di specie e di permettere il raggiungimento di soluzioni più conformi alle aspettative e alle esigenze delle parti interessate il regolamento aggiunge alla previsione della clausola di eccezione rappresentata dal riconoscimento al de cujus di una sia pur limitata facoltà di scelta del diritto applicabile alla sua successione
La facoltà di opzione in favore della legge nazionale è disciplinata dall’art. 22 del regolamento in maniera decisamente liberale dal momento che la disposizione consente alle persone che hanno più cittadinanze di scegliere la legge del paese di una qualunque di queste e permette altresì di scegliere la legge del paese di una cittadinanza non posseduta al momento della designazione purché la si possieda al momento dell’apertura della successione.
Quanto al rischio di abusi, consistenti per esempio in un trasferimento di residenza effettuato ad arte, unicamente per eludere l’applicazione di una legge successoria che non consenta, magari, la devoluzione dell’eredità nella forma desiderata, e che venga quindi utilizzata per frustrare le aspettative ereditarie dei legittimari, potrebbe rivelarsi utile, per contrastarne la validità e l’efficacia, ricorrere al principio della contraddittorietà all’ordine pubblico o, nella misura in cui il diritto dell’Unione e quello dello Stato membro implicato lo consentano, di frode alla legge.
III.2. La scelta della legge applicapile tacita: “Professio juris implicita”
Una modifica di rilievo apportata dall’art. 22, par. 2, del regolamento consiste nell’ammettere, accanto alla ordinaria possibilità di una professio juris formulata in modo espresso «nella forma di una disposizione a causa di morte», anche la possibilità di una professio tacita o, come è probabilmente più corretto dire, implicita e cioè risultante solo implicitamente «dalle clausole di tale disposizione». Si tratta di una soluzione non accolta né dalla Convenzione dell’Aja del 1989 né dalla maggior parte delle legislazioni degli Stati membri ma che viene considerata ammissibile, in sede di interpretazione delle pertinenti norme nazionali di conflitto, dalla dottrina e dalla giurisprudenza in Svizzera e, sebbene con maggiore cautela, pure in Germania.
Gli elementi principali che vengono generalmente indicati come idonei a permettere di dedurre l’esistenza della volontà implicita del de cujus di sottoporre la successione ad una determinata legge sono costituiti dal riferimento contenuto in una disposizione di ultima volontà a norme, istituti o nozioni propri della legge in questione, come nell’esempio classico, frequentemente addotto, della costituzione di un trust testamentario da parte del cittadino di un paese di common law.
Minore rilievo rivestirebbero invece, almeno se presi isolatamente, indizi quali la lingua di redazione dell’atto o il fatto che questo sia stato rogato da un notaio del paese la cui legge è quella che potrebbe aver formato oggetto di scelta, benché essi siano stati a volte presi in considerazione dalla giurisprudenza, mentre circostanze estranee all’atto potrebbero al più assumere valore meramente confermativo degli elementi ricavabili dal testo del medesimo.
Anche il regolamento sembra sostanzialmente aderire a questa impostazione dal momento che la prescrizione dell’art. 22, par. 2, secondo cui la sussistenza della professio juris deve comunque potersi desumere dai termini della disposizione a causa di morte è completata dalle precisazioni fornite, sia pure a titolo soltanto esemplificativo, dal considerando 39, il quale aggiunge che detta condizione potrebbe, in particolare, ritenersi soddisfatta qualora il defunto «abbia fatto riferimento a specifiche disposizioni della legge del suo Stato di cittadinanza o abbia altrimenti menzionato tale legge».
IV. La legge applicabile alla validità, alla modifica e alla revoca della disposizione a causa di morte
La validità formale della professio juris è peraltro regolata dall’art. 22, par. 2, (soltanto indirettamente e, più precisamente, per relationem), dal momento che la norma si limita a richiedere che la professio sia effettuata «a mezzo di una dichiarazione resa nella forma di una disposizione a causa di morte», salvo la possibilità, di cui si è detto, di una professio implicita e cioè «risultante dalle clausole di tale disposizione». All’insieme di problemi così determinato l’art. 22, par. 3, dichiara applicabile la stessa legge oggetto di scelta.
La modifica e la revoca della professio sono disciplinate dal regolamento in modo meno chiaro e meno completo, nonostante che rispetto ad esse si pongano vari problemi di soluzione non agevole. L’art. 22, par. 4, ne regola unicamente la validità formale, sottoponendola, simmetricamente a quanto stabilisce il par. 2 dello stesso articolo in relazione alla forma dell’atto originario di scelta, alle condizioni previste per la modifica o la revoca delle disposizioni a causa di morte. Anche riguardo alla modifica e alla revoca della professio viene quindi così ad essere richiamato indirettamente l’art. 27 del regolamento, che detta appunto la disciplina della validità formale di quegli atti.
Uno dei problemi classici che si pongono relativamente alla revoca della professio juris consiste nel chiedersi se e a quali condizioni essa sia da considerare implicita nella revoca o nella modifica di un testamento o altro atto contenente disposizioni a causa di morte. La revoca dell’atto cui la professio si presenta connessa può naturalmente aver luogo in modi differenti, quali, ad esempio, una dichiarazione espressa, la redazione di nuove disposizioni totalmente o parzialmente incompatibili con quelle anteriori o la distruzione materiale del documento in cui l’atto medesimo è racchiuso.
Nonostante la sua notorietà, il problema non è quasi mai specificamente affrontato né dai testi di diritto internazionale privato uniforme, né dalle codificazioni nazionali. Anche il regolamento si allinea a questo generale orientamento205. Ciò nondimeno, l’art. 22 fornisce elementi sufficienti a permettere di dare a tale problema una soluzione negativa. Infatti, a differenza dal par. 2 dell’articolo in questione, che, come si è visto, ammette che la professio juris possa risultare implicitamente dalle clausole di un atto contenente disposizioni a causa di morte, il par. 4 esclude chiaramente la stessa possibilità riguardo alla revoca e alla modifica della professio, richiedendo invece che esse soddisfino le condizioni di forma previste per la modifica o la revoca di quelle disposizioni. D’altra parte l’art. 27, concernente la validità formale delle disposizioni a causa di morte e che viene così ad essere indirettamente richiamato, si applica unicamente alle disposizioni a causa di morte che siano state formulate «per iscritto».
Evidenti ragioni di sicurezza dovrebbero in ogni caso indurre le persone interessate a non mancare mai di precisare con chiarezza all’atto della revoca delle proprie disposizioni a causa di morte la loro volontà relativa alla sorte dell’eventuale designazione del diritto applicabile alla loro successione che esse abbiano effettuato (contestualmente o separatamente) in aggiunta alle prime.
V. La legge regolatrice dell’ammissibilità e della validità sostanziale delle disposizioni a causa di morte.
Come si è ripetutamente accennato, l’adozione da parte del regolamento del criterio di collegamento obiettivo dell’ultima residenza abituale del defunto, pur potendosi ritenere giustificata dall’idoneità di tale criterio ad individuare nella maggioranza dei casi la legge con cui la successione è più strettamente connessa, presenta tuttavia il non lieve inconveniente di rendere malferma ed incerta la pianificazione ereditaria delle persone che non sono in grado di prevedere con sicurezza in quale paese si localizzerà la loro residenza abituale al momento del loro decesso. Ciò è particolarmente vero riguardo alla validità e all’efficacia delle disposizioni a causa di morte che possono essere contenute in un testamento o in un patto successorio. Un mutamento del paese di residenza intervenuto nell’intervallo di tempo compreso tra il momento dell’adozione delle disposizioni a causa di morte interessate e il decesso della persona della cui eredità si tratta potrebbe infatti determinare il poco soddisfacente risultato che disposizioni che sarebbero state pienamente valide ed efficaci secondo la legge del paese della residenza anteriore dovrebbero invece essere considerate nulle o comunque prive di effetto in base alla nuova legge divenuta applicabile in seguito al trasferimento della residenza in un diverso paese.
Al fine di evitare o almeno ridurre la possibilità che si verifichino simili situazioni di instabilità e di incertezza alcune legislazioni ricorrono all’accorgimento di sottoporre l’ammissibilità, la validità sostanziale e a volte, in più o meno ampia misura, anche gli effetti delle disposizioni a causa di morte alla c.d. legge successoria «anticipata» o «ipotetica», e cioè alla legge che sarebbe stata applicabile alla successione qualora essa si fosse aperta al momento del compimento dell’atto che contiene le disposizioni in questione. La maggior parte delle leggi che accolgono soluzioni del genere, quali, ad esempio, tra le leggi degli Stati membri, quelle austriaca, spagnola e tedesca, le estende indifferentemente ad ogni sorta di disposizioni a causa di morte senza distinguere a seconda del tipo di atto – testamento, testamento congiuntivo o patto successorio – in cui sono inserite.
V.1. Legge regolatrice dei patti successori
Alla categoria dei patti successori si presta ad essere ricondotta, benché in maniera non sempre sicura ed incontrovertibile, una gamma considerevolmente vasta di figure, di cui alcune presentano elementi o caratteri comuni ad istituti rientranti in categorie diverse e per lo più escluse dall’ambito di applicazione del regolamento, quali, ad esempio, le donazioni o altre specie di contratti, i trusts e gli accordi relativi ai rapporti patrimoniali tra coniugi. La determinazione esatta del contenuto della categoria in questione è quindi destinata a far sorgere non pochi problemi di delimitazione, parecchi dei quali non potranno ricevere soluzione certa e definitiva che dalla giurisprudenza interpretativa della Corte di giustizia. Si è già visto peraltro che l’art. 3, par. 1, lett. b), offre di tali patti una definizione, sostanzialmente mutuata dall’art. 8 della Convenzione dell’Aja del 1989 e che vi include ogni «accordo, anche derivante da testamenti reciproci, che conferisce, modifica o revoca, con o senza corrispettivo, diritti nella successione futura di una o più persone parti dell’accordo». Si tratta di una nozione formulata in termini deliberatamente ampi, in modo da renderla atta a ricomprendere la massima parte degli accordi concernenti la devoluzione della successione previsti dagli ordinamenti nazionali, oltre ai testamenti congiuntivi recanti disposizioni a causa di morte corrispettive o interdipendenti, che non dovrebbero a rigore essere qualificati come accordi.
Ad essa sono dunque senza dubbio riconducibili tutte e tre i tipi di patti successori rientranti nella tripartizione tradizionale tra patti attributivi, rinunciativi e dispositivi, sempre che tuttavia siano conclusi con la partecipazione della persona o delle persone le cui eredità sono implicate. L’esistenza di questa restrizione, desumibile chiaramente dalla definizione sopra riferita, ha come conseguenza che i patti dispositivi con i quali una parte dispone a favore di un’altra dei diritti che le spettano nella futura successione di un terzo non partecipe all’accordo non sono suscettibili di venire ascritti alla categoria in esame e devono pertanto essere considerati come semplici contratti sottoposti alla legge normalmente competente a disciplinarli ai sensi del regolamento 593/2008 (Roma I). Meno facile è stabilire se siano qualificabili come patti successori i contracts to make (o not to make) a will propri del diritto inglese e degli altri paesi di common law.